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mercoledì 15 giugno 2011

Quando Torino si veste d'oro: il gianduiotto...

Dopo un aperitivo accompagnato dai nostri buonissimi grissini e un viaggio alla scoperta dei sapori e dei profumi da tutto il mondo che si possono trovare a Porta Palazzo perché non concludere in bellezza con un delizioso gianduiotto?
Ma cos’è il gianduiotto? E, soprattutto, a cosa deve la sua fama? Andiamo ad esplorare il mondo della cioccolateria torinese con il suo capolavoro!!

Il gianduiotto è un tipo di cioccolatino a forma di barca rovesciata composto con cioccolata di tipo gianduia che si produce a Torino.



Fu prodotto per la prima volta dalla nota società dolciaria torinese Caffarel (nello stabilimento situato in Borgo San Donato) e presentato al pubblico nel carnevale del 1865 dalla maschera torinese gianduia, da cui prende il nome, che distribuiva per le strade della città la nuova bontà.



L’origine della maschera di Gianduja  va fatta risalire al primo decennio dell'Ottocento, all'opera del burattinaio Giovan Battista Sales. Questi creò Gianduja quando fu costretto a interrompere le storie del personaggio Gerolamo, per i guai che potevano procurargli le esplicite allusioni a Napoleone e a suo fratello Gerolamo di Westfalia.
In Gianduja compaiono alcuni dei caratteri tipici della gente piemontese, l'arguzia, l'allegria, ma anche lo spirito libertario e patriottico. La maschera rappresentava il contadino dotato di buon senso, apparentemente ingenuo, amante degli scherzi e delle donne. Due sono le ipotesi sull'origine del suo nome: la prima lo vuole derivato da "Gioan d'la douja", che significa "Giovanni del boccale", mentre la seconda dal francese "Jean Andouille" ovvero "Giovanni salsiccia". 


Il suo costume è di classica foggia settecentesca, con la giacca di panno marrone, i calzoni verdi, il farsetto giallo e le calze rosse. In testa porta il cappello a tricorno e una parrucca col codino. Dopo Sales anche i fratelli Lupi proseguirono con enorme successo le rappresentazioni delle avventure di questo burattino, ma nel corso del secolo fu portato sulle scene anche da un attore Giovanni Toselli, con il quale la maschera guadagnò ulteriore notorietà.

La nascita del famoso cioccolatino torinese si riconduce a motivazioni storiche ben precise: con il blocco napoleonico, le quantità di cacao che giungevano in Europa erano ridotte e con prezzi esorbitanti, ma ormai la richiesta di cioccolato continuava ad aumentare.
Michele Prochet decise allora di sostituire in parte il cacao con un prodotto molto presente nel territorio: la nocciola tonda gentile delle Langhe, una nocciola con gusto deciso e delicato. L'impasto è infatti composto da nocciole in polvere (pressate in pezzi finissimi), cacao, burro di cacao e zucchero. 




Siccome l'alta quantità di nocciole nell'impasto non permetteva che il cioccolatino fosse prodotto in forme, per lungo tempo il gianduiotto veniva tagliato a mano tant’è che la forma si presentava spesso irregolare. Ancora oggi è diffusa la modalità produttiva che non prevede l’utilizzo di stampi, ma soltanto di macchine progettate e realizzate ad hoc: tale tecnica permette di produrre gianduiotti dalla consistenza particolare: né troppo fluida né troppo solida.
Una particolarità del prodotto è che fu il primo cioccolatino impacchettato singolarmente, solitamente è avvolto nella tipica carta dorata o argentata.


Pensate che il gianduiotto era addirittura una delle due cose preferite di Torino dall'artista Andy Warhol. L’orgoglio torinese per il gianduiotto ha raggiunto il culmine durante Eurochocolate Torino 2000 con la realizzazione del gianduiotto più grande del mondo: ben 2 m di altezza per 4 m di lunghezza per 1 m di larghezza, frutto di 150 ore di lavoro!!

Porta Palazzo: il mondo nello spazio di un mercato.

« Porta Palazzo è profumo di frutta e verdura, colori vivaci, vociare straniero mescolato agli svariati dialetti italiani, contatto con popoli lontani. A Porta Palazzo vivono, si incontrano e si scontrano l’Europa, l’Africa e l’Asia. »

(Fiorenzo Oliva, da Il mondo in una piazza. Diario di un anno tra 55 etnie (Stampa Alternativa, 2009)).

I torinesi hanno paura di passeggiare per la piazza, i piemontesi sanno che il rapporto qualità-prezzo è imbattibile tra le sue bancarelle, i meridionali rimpiangono i tempi in cui i “mercatari” parlavano dialetti a loro familiari, marocchini e senegalesi popolano la piazza, così vicina alla loro moschea, di macellerie e kebab, rumeni e albanesi vendono i loro prodotti confondendosi tra la folla, i cinesi sono ad ogni angolo, in ogni negozietto colorato.

E’ Porta Palazzo, il mercato all’aperto più grande d’Europa, un luogo di incontro tra culture diverse e il posto ideale per trovare tutto ciò che si cerca…basta saper guardare!



Ma a che tempi risale questo luogo senza il quale Torino non sarebbe la stessa?
Agli inizi del XVIII secolo il Duca Vittorio Amedeo II di Savoia avvia un importante processo di rinnovamento urbanistico nelll'area nota come Contrada di Porta Palazzo,  che intende ridisegnare la zona suburbana che i viaggiatori attraversavano per entrare in città da settentrione: sotto la direzione dell'architetto Filippo Juvarra, prende corpo quella che originariamente voleva essere una maestosa piazza d'armi, un luogo dove stranieri e sudditi avrebbero potuto ammirare le sfilate militari, in un tripudio di colori e luccichio di sciabole. In quegli anni, il nome assegnato è Piazza Vittoria.
L'intera area diventa poi parte integrante della città quando, nel 1800, Napoleone Bonaparte impone lo smantellamento delle mura che circondano l'abitato. Durante la Restaurazione, il periodo in cui i Savoia ritornano a sedere sul trono, l’architetto Gaetano Lombardi, conduce nuovi lavori e termina il progetto di una piazza ottagonale, che giunge ai giorni nostri immutata. Nel frattempo la settecentesca Piazza Vittoria viene intitolata a Emanuele Filiberto, il sovrano che aveva spostato la corte dei Savoia da Chambery a Torino nel ‘500.
Era il 29 agosto del 1835 quando i mercati cittadini vennero raggruppati e trasferiti nella piazza con lo scopo di proibire la vendita di alimentari dentro le mura per evitare la propagazione del colera. Da allora il mercato non si è più mosso ma ha assunto il nome di Piazza della Repubblica nel 1946, in seguito alla caduta della dittatura fascista in Italia.
Oggi Porta Palazzo è il mercato all'aperto più grande d'Europa,con una superficie di più fi 51mila metri quadrati e quasi 1000 banchi mobili per la vendita di prodotti ortofrutticoli, alimentari e d'abbigliamento; si stima che, nella giornata del sabato, tra le bancarelle si aggirino circa centomila persone. L'attrazione esercitata da un'area commerciale così vasta è forte: ondate migratorie iniziate negli anni sessanta del secolo scorso hanno coinvolto migliaia di italiani sospinti a Torino dal boom economico e industriale, mentre negli ultimi vent'anni i migranti che s'incontrano agli angoli della grande piazza sono quasi solo stranieri, uomini e donne provenienti da ogni parte del globo.

Il nome del mercato trae origine da una delle porte d'accesso alla città. Secondo alcuni Porta Palazzo deriva dalla Postierla San Michele, un antico varco che consentiva l'accesso a Piazza delle Erbe (l'attuale Piazza Palazzo di Città), dove sin dal Medioevo ha luogo un mercato. Un'altra versione suggerisce che il nome provenga da quella che i Romani indicavano come Porta Principalis Sinistra o Palatina.



Le comunità del mercato sono numerose quasi quanto l’offerta di prodotti, che spaziano dall’abbigliamento alla frutta e verdura, dal pesce alle scarpe, dai formaggi agli utensili da casa. Vale la pena perdersi tra i banchi di questo mercato senza confini, così prossimo al Quadrilatero Romano, polo della movida torinese.
All’angolo inferiore della piazza, sotto la tettoia di ferro troviamo il mercato dei contadini, dove i produttori locali vendono ortaggi, frutta e prodotti tipici, come i famosi agnolotti del plin e insieme a loro i contadini cinesi che portano sui loro banchi i prodotti del loro Paese, coltivati poco fuori Torino. Seguono il mercato II del pesce, dove i pescivendoli del sud hanno mantenuto la loro egemonia come accadeva in passato, il mercato III (Palafuksas) dell’abbigliamento e accessori e il mercato V degli alimentari; di fronte i banchi degli ortaggi e della frutta e quelli dell’abbigliamento.



La novità per vedere da vicino i volti del mercato e sentirne i suoni e gli odori è un progetto, nato in questi anni per opera della Coperativa Sociale Onlus “Viaggi Solidali” che propone tour del mercato in cui le guide non sono altro che abitanti migranti del luogo, che raccontano la loro cultura e danno luogo a situazioni di confronto e conoscenza reciproca. 



Normalmente le visite sopno pluriculturali, accompagnate da due guide di nazionalità diverse.  I migranti sono attori chiave nello sviluppo del turismo responsabile a partire dalla loro capacità di essere ponte tra due territori e due culture   Viaggi Solidali  ha ideato e tenuto a Torino il primo corso per “accompagnatori di turismo responsabile”, per cittadini di origine straniera, a cui hanno partecipato 25 persone di nazionalità diversa in modo da poter fornire il servizio in ben 8 lingue diverse! 
La visita del mercato non può non comprendere anche i vicini Balon e  MAO (Museo di Arte Orientale).  
Il Balon è il mercato delle pulci di Torino, nato verso la fine del '700 come mercato dei ferri vecchi.  A metà dell’Ottocento il luogo era frequentato dai rigattieri torinesi; oggi è il posto ideale per scoprire le botteghe che propongono prodotti e manufatti di ogni specie. In realtà non solo pulci si trovano: le vie del Balon sono circondate da ottimi antiquari, alcuni con immensi magazzini in cui perdersi. Buone anche le occasioni per un buon pranzo. Inoltre ogni seconda domenica del mese il mercato si trasforma in un grande mercatino dell’antiquariato minore, ormai da 26 anni. 



Il secondo è situato in un edificio in pieno Quadrilatero (Via San Domenico) e ospita una collezione di manufatti e mostre temporanee di oggetti provenienti dal medio e dall’estremo Oriente, con l’intento di intende ispirare nel visitatore nuove forme di pensiero e di rappresentazione fino alla piena consapevolezza di quanto sia preziosa ogni espressione del sapere umano. 



Concludiamo con una curiosità. Pochi torinesi conoscono la Galleria Umberto I, che collega l’esedra Juvarriana con le Porte Palatine progettata da Lorenzo Rivetti dopo il trasferimento dell’ospedale Mauriziano nell'attuale sede di Corso Turati e inaugurata nel 1890 . Accessibile da Via Basilica e Piazza della Repubblica la struttura a forma di T ospita negozi e caffè, negli stessi spazi che in passato erano le corsie dell'ospedale. Poco conosciute sono anche le regie ghiacciaie cui si accede da Via delle Orfane; sono quattro piani di cellette collegate da una scala elicoidale, che oggi fungono da deposito per i banchi della frutta e verdura.



Porta Palazzo è oggi uno straordinario connubio tra tradizione, immigrazione italiana ed extracomunitaria, e futuro. Farci un giro dovrebbe diventare una tappa imprescindibile per chi visita e vuole capire Torino,un po’ come il mercato della Boqueria a Barcellona.

martedì 7 giugno 2011

Un nobile prodotto da forno: il Grissino e la sua storia.



Il grissino è sicuramente uno dei prodotti torinesi più consumati e rinomati. Il suo nome deriva dal piemontese  “grissia” o “gherssa”: il pane, un tempo a forma allungata e stretta, usato in tutto il Piemonte, simile all'attuale baguette francese. Esasperando la forma allungata del pane e assottigliandola sempre più è nato il grissino.

Ma come nasce questo prodotto tipico così gradito a tanti? La sua storia è un alternarsi tra leggenda e realtà, ma non vi sono dubbi sulla sua nascita nobiliare, all'interno delle residenze della corte sabauda. 
Tradizionalmente la sua nascita si fa risalire al 1679, quando il fornaio di corte Antonio Brunero, sotto le indicazioni del medico lanzese Teobaldo Pecchio, inventò questo alimento per poter nutrire il futuro Vittorio Amedeo II, di salute cagionevole ed incapace di digerire la mollica del pane. 
Questi ebbe un lampo di genio che lo portò a diagnosticare, al giovane Duca, che aveva solo nove anni, una intossicazione alimentare conseguente ad assunzione di pane inquinato di germi patogeni intestinali. Ciò perché il pane di quel tempo era prodotto in modo non del tutto "corretto" igienicamente e, per di più, veniva poco cotto, anzi, mal cotto. Così il fornaio di corte, detto il fornaioterapeuta, pensò di creare liste di pasta lievitata, più facili da cuocere: il prodotto che si riteneva indispensabile per tentare di guarire il giovane sovrano.




Come le belle favole impongono, il Duca guari cibandosi di questo pane. Il suo fisico migliorò e Vittorio Amedeo Il diventato primo Re Sabaudo nel 1713, poté dedicarsi con tranquillità e salute a tutti i suoi divertimenti preferiti.  Il sovrano era solito recarsi alla sua residenza di Venaria portando sul suo cavallo una "cesta" di grissini.
Ancora oggi si dice che il suo fantasma vaghi per le stanze dello stesso castello, conducendo con una mano il cavallo e brandendo con l'altra un grissino incandescente.

Dopo la guarigione del Duca il grissino diventò il pane preferito di Casa Savoia per cui fu conosciuto ed apprezzato dai più regali palati dell'epoca, tanto che, come riporta la storia, Carlo Felice di Savoia apprezzava di più la musica del Regio Teatro quando sgranocchiava dal suo palco i suoi gustosi grissini talvolta realizzati con l'aggiunta di polpa di trota e la principessa Felicita si fece ritrarre dal pittore di corte con un grissino in mano, guadagnandosi, suo malgrado, il titolo di "principessa del grissino".

Napoleone dopo aver assaggiato quelli che chiamava "les petites batons de Turin" ne rimase entusiasta. Ne diventò così ghiotto da maturare il desiderio di farli produrre direttamente a Parigi, ma non riuscì ad ottenere lo stesso risultato. Di conseguenza, per gustare i veri grissini torinesi, dovette istituire un servizio postale celere per avere ogni giorno direttamente da Torino i prelibati bastoncini di pane.
Il popolo seguì ben presto le abitudini ormai consolidate a corte e questo fece sì che il grissino non ebbe difficoltà nel diffondersi a Torino e nei dintorni divenendo un alimento insostituibile del mangiare giornaliero.

Il valore assunto negli anni delle guerre d'indipendenza italiane dai grissini per i torinesi si ricava anche scavando sotto l'obelisco dedicato a Siccardi in Piazza Savoia a Torino sul quale è incisa la data del 1853 e alla base del quale è stata sepolta una cassetta di grissini, insieme a 
alcune copie del giornale "La Gazzetta del Popolo", monete, semi di riso, e una bottiglia di Barbera, come simboli del livello di civiltà raggiunto dai Piemontesi.




Il successo dei grissini fu particolarmente rapido, sia per la maggiore digeribilità rispetto al pane comune, sia per la possibilità di essere conservato anche per diverse settimane senza alcun deterioramento. Il nome deriva da quello della gherssa, il classico pane piemontese, di forma allungata.

La forma di grissino più antica e tradizionale è indubbiamente il robatà (pronuncia: rubatà, che in piemontese significa "rotolato") di lunghezza variabile dai 40 agli 80 cm, facilmente riconoscibile per le caratteristica nodosità, dovuta alla lavorazione a mano. Il robatà di Chieri è incluso nella lista prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Sono allo stesso modo considerate zone di produzione classica del rubatà, il Torinese, la zona di Andezeno e il Monregalese. I suoi ingredienti sono farina di frumento, acqua, lievito naturale e sale.
L'unica altra forma di grissino tradizionale e tutelata è il Grissino Stirato. Di invenzione più recente rispetto al robatà, si distingue da questi in quanto la pasta, invece che essere lavorata per arrotolamento, viene allungata tendendola dai lembi per la lunghezza delle braccia del panificatore, il che conferisce maggiore friabilità al prodotto finale.
È caratterizzato da un colore dorato, da un aroma fragrante e da un sapore delicato, estremamente friabile, croccante ed è vuoto all'interno. Gli ingredienti sono farina di frumento, acqua, lievito naturale e sale. Soprattutto questo tipo di lavorazione permise la produzione meccanizzata già a partire dal XVIII secolo e la sua affermazione sulle tavole di tutta Italia.
Entrambe le tipologie di grissino fanno parte dei prodotti PAT, Prodotti Agro-alimentari Tradizionali, istituiti dalla Regione Piemonte.




Ne esistono anche diversi tipi aromatizzati (all'origano, al sesamo, al cumino, ecc.). Inoltre, nel 2010 è sorta,  a Gassino, nei pressi di Torino, l'Associazione Amici Sagra del Grissino che organizza ogni anno, la terza settimana di maggio la Sagra del Grissino.