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martedì 7 giugno 2011

Un nobile prodotto da forno: il Grissino e la sua storia.



Il grissino è sicuramente uno dei prodotti torinesi più consumati e rinomati. Il suo nome deriva dal piemontese  “grissia” o “gherssa”: il pane, un tempo a forma allungata e stretta, usato in tutto il Piemonte, simile all'attuale baguette francese. Esasperando la forma allungata del pane e assottigliandola sempre più è nato il grissino.

Ma come nasce questo prodotto tipico così gradito a tanti? La sua storia è un alternarsi tra leggenda e realtà, ma non vi sono dubbi sulla sua nascita nobiliare, all'interno delle residenze della corte sabauda. 
Tradizionalmente la sua nascita si fa risalire al 1679, quando il fornaio di corte Antonio Brunero, sotto le indicazioni del medico lanzese Teobaldo Pecchio, inventò questo alimento per poter nutrire il futuro Vittorio Amedeo II, di salute cagionevole ed incapace di digerire la mollica del pane. 
Questi ebbe un lampo di genio che lo portò a diagnosticare, al giovane Duca, che aveva solo nove anni, una intossicazione alimentare conseguente ad assunzione di pane inquinato di germi patogeni intestinali. Ciò perché il pane di quel tempo era prodotto in modo non del tutto "corretto" igienicamente e, per di più, veniva poco cotto, anzi, mal cotto. Così il fornaio di corte, detto il fornaioterapeuta, pensò di creare liste di pasta lievitata, più facili da cuocere: il prodotto che si riteneva indispensabile per tentare di guarire il giovane sovrano.




Come le belle favole impongono, il Duca guari cibandosi di questo pane. Il suo fisico migliorò e Vittorio Amedeo Il diventato primo Re Sabaudo nel 1713, poté dedicarsi con tranquillità e salute a tutti i suoi divertimenti preferiti.  Il sovrano era solito recarsi alla sua residenza di Venaria portando sul suo cavallo una "cesta" di grissini.
Ancora oggi si dice che il suo fantasma vaghi per le stanze dello stesso castello, conducendo con una mano il cavallo e brandendo con l'altra un grissino incandescente.

Dopo la guarigione del Duca il grissino diventò il pane preferito di Casa Savoia per cui fu conosciuto ed apprezzato dai più regali palati dell'epoca, tanto che, come riporta la storia, Carlo Felice di Savoia apprezzava di più la musica del Regio Teatro quando sgranocchiava dal suo palco i suoi gustosi grissini talvolta realizzati con l'aggiunta di polpa di trota e la principessa Felicita si fece ritrarre dal pittore di corte con un grissino in mano, guadagnandosi, suo malgrado, il titolo di "principessa del grissino".

Napoleone dopo aver assaggiato quelli che chiamava "les petites batons de Turin" ne rimase entusiasta. Ne diventò così ghiotto da maturare il desiderio di farli produrre direttamente a Parigi, ma non riuscì ad ottenere lo stesso risultato. Di conseguenza, per gustare i veri grissini torinesi, dovette istituire un servizio postale celere per avere ogni giorno direttamente da Torino i prelibati bastoncini di pane.
Il popolo seguì ben presto le abitudini ormai consolidate a corte e questo fece sì che il grissino non ebbe difficoltà nel diffondersi a Torino e nei dintorni divenendo un alimento insostituibile del mangiare giornaliero.

Il valore assunto negli anni delle guerre d'indipendenza italiane dai grissini per i torinesi si ricava anche scavando sotto l'obelisco dedicato a Siccardi in Piazza Savoia a Torino sul quale è incisa la data del 1853 e alla base del quale è stata sepolta una cassetta di grissini, insieme a 
alcune copie del giornale "La Gazzetta del Popolo", monete, semi di riso, e una bottiglia di Barbera, come simboli del livello di civiltà raggiunto dai Piemontesi.




Il successo dei grissini fu particolarmente rapido, sia per la maggiore digeribilità rispetto al pane comune, sia per la possibilità di essere conservato anche per diverse settimane senza alcun deterioramento. Il nome deriva da quello della gherssa, il classico pane piemontese, di forma allungata.

La forma di grissino più antica e tradizionale è indubbiamente il robatà (pronuncia: rubatà, che in piemontese significa "rotolato") di lunghezza variabile dai 40 agli 80 cm, facilmente riconoscibile per le caratteristica nodosità, dovuta alla lavorazione a mano. Il robatà di Chieri è incluso nella lista prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Sono allo stesso modo considerate zone di produzione classica del rubatà, il Torinese, la zona di Andezeno e il Monregalese. I suoi ingredienti sono farina di frumento, acqua, lievito naturale e sale.
L'unica altra forma di grissino tradizionale e tutelata è il Grissino Stirato. Di invenzione più recente rispetto al robatà, si distingue da questi in quanto la pasta, invece che essere lavorata per arrotolamento, viene allungata tendendola dai lembi per la lunghezza delle braccia del panificatore, il che conferisce maggiore friabilità al prodotto finale.
È caratterizzato da un colore dorato, da un aroma fragrante e da un sapore delicato, estremamente friabile, croccante ed è vuoto all'interno. Gli ingredienti sono farina di frumento, acqua, lievito naturale e sale. Soprattutto questo tipo di lavorazione permise la produzione meccanizzata già a partire dal XVIII secolo e la sua affermazione sulle tavole di tutta Italia.
Entrambe le tipologie di grissino fanno parte dei prodotti PAT, Prodotti Agro-alimentari Tradizionali, istituiti dalla Regione Piemonte.




Ne esistono anche diversi tipi aromatizzati (all'origano, al sesamo, al cumino, ecc.). Inoltre, nel 2010 è sorta,  a Gassino, nei pressi di Torino, l'Associazione Amici Sagra del Grissino che organizza ogni anno, la terza settimana di maggio la Sagra del Grissino.



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